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COVID-19: nella saliva il possibile identikit predittivo del malato grave

A parità di sintomi, alcune persone affette da SARS-CoV-2 necessitano di ospedalizzazione mentre altre possono essere curate a casa. Cosa distingue i due gruppi e come identificarli rapidamente per guidare le scelte terapeutiche dei medici è oggetto di una ricerca Humanitas, pubblicata su Gastro Hep Advances, che descrive una nuova metodica basata sull’analisi della saliva e del sangue.

Coordinatrice dello studio è la professoressa Maria Rescigno, capo del Laboratorio di immunologia delle mucose e microbiota di Humanitas e docente di Patologia Generale di Humanitas University, che con il suo team di ricercatori ha affiancato il dottor Antonio Voza, responsabile del Pronto Soccorso di Humanitas, e la dottoressa Elena Azzolini, responsabile del Centro Vaccinale di Humanitas.

I risultati dello studio

Di fronte alle difficoltà delle prime ondate pandemiche, quando in Pronto Soccorso si sono riversati migliaia di pazienti e le conoscenze sul decorso della malattia erano ancora poche, il team di ricercatori ha messo a frutto le competenze sul microbiota e sulle mucose per individuare nuovi marcatori di gravità che funzionassero precocemente. La professoressa Maria Rescigno e la dottoressa Chiara Pozzi, immunologa ricercatrice di Humanitas, si sono concentrate sul microbiota della saliva e sull’insieme dei metaboliti, cioè dei prodotti che derivano da un processo chimico legato alla digestione o ingestione di alimenti.

“Attraverso uno studio retrospettivo, abbiamo analizzato la saliva e il sangue di pazienti ospedalizzati e di quelli trattati a domicilio per cercare cosa contraddistinguesse i due gruppi, paragonando i dati con quelli raccolti da soggetti sani e guariti”, spiega la professoressa Rescigno. 

“È stato fondamentale un approccio di machine learning: i nostri data scientist, guidati da Riccardo Levi, ci hanno aiutato a eliminare i parametri confondenti e il fattore età, arrivando a isolare due metaboliti, Mioinositolo e acido acetico 2 pirrolidinico. Questi, insieme a una proteina presente nel sangue (Chitinasi 3-L1), hanno dimostrato di essere correlati alla gravità di COVID-19, quindi alla necessità o meno di ospedalizzazione”. 

La combinazione di questi 3 parametri di saliva e sangue descrive l’identikit del malato grave e quindi sarebbe in grado di distinguere i pazienti Covid sulla base dell’aspettativa del loro decorso clinico.

“Successivamente abbiamo visto che questi due metaboliti correlano con alcuni gruppi di batteri del microbiota salivare”, prosegue la professoressa Rescigno. 

“Chi ha metaboliti alterati ha anche batteri alterati. Il risultato non sorprende: il microbiota ha un ruolo importante nell’infezione perché prepara il sistema immunitario e può avere attività antimicrobiche. E la saliva, dove si trova parte del microbiota, è uno dei punti in cui il virus penetra. È importante inoltre sottolineare che la proteina individuata nel sangue è coinvolta nella regolazione del recettore ACE2, il recettore del virus SARS-CoV-2. Questo significa che se la proteina è già alta in partenza, la persona ha più recettori e quindi potrebbe ‘fare entrare’ più virus”. 

Le prospettive future

Il prossimo passaggio potrebbe dunque essere la messa a punto di un test diagnostico, che al momento non è disponibile nei Laboratori di Analisi. 

La metodologia basata sull’analisi dei metaboliti – la metabolomica – è una novità che si sta imponendo nel panorama diagnostico. Una rivoluzione velocizzata da COVID-19 perché durante la pandemia è stato possibile analizzare i dati di tanti pazienti in tempi molto rapidi. 

“I risultati di questo studio ci danno speranza.. In futuro, sarà possibile progettare queste analisi basate su test salivare ed esame del sangue anche per altre patologie pericolose e di difficile predizione, come la sepsi”, conclude la professoressa Rescigno.

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