La rizoartrosi è una patologia che interessa il pollice, provoca un forte dolore al dito e ne limita l’utilizzo, soprattutto per quanto riguarda movimenti di torsione, come ad esempio l’apertura della macchinetta del caffè o del pomello di una porta.
La rizoartrosi può essere trattata sia attraverso terapie conservative sia, nei casi più acuti, necessitare di un approccio chirurgico. Ne parliamo con la dottoressa Laura Frontero, Chirurgo della mano in Humanitas.
Cos’è la rizoartrosi e in che età può insorgere?
“La rizoartrosi è l’artrosi che colpisce l’articolazione che si trova alla base del pollice: man mano che si invecchia, infatti, la cartilagine che si trova tra le ossa tende a consumarsi, provocando una frizione tra le ossa stesse che rovina la superficie articolare e provoca uno stato di infiammazione che coinvolge tutta l’articolazione. L’artrosi pertanto si sviluppa in tutti, ma non per tutti è sintomatica. I primi sintomi possono evidenziarsi già intorno ai quarant’anni.
In quei pazienti che lamentano un dolore alla base del pollice, esacerbato dai movimenti, siano essi attivi o passivi, il medico curante può ritenere opportuno richiedere una lastra comparata di entrambe le mani che consenta di confermare la diagnosi e stadiare la patologia. I sintomi, prima della diagnosi dello specialista, possono venire confusi dai pazienti con quelli del dito a scatto o con quelli di altre tendiniti del polso”, spiega la dottoressa.
Quando e come può venire trattata la rizoartrosi?
“La rizoartrosi va trattata nel momento in cui comincia a diventare sintomatica e dunque a provocare dolore. Il primo approccio per il trattamento, per i casi meno acuti, consiste nell’utilizzo di un tutore: si indossa di notte e serve a dare stabilità al pollice e a disinfiammarlo. Se dopo due o tre mesi di utilizzo del tutore non si ottengono risultati adeguati, il medico può valutare di associare al trattamento anche delle terapie fisiche: possono essere utili per esempio dei cicli di onde d’urto o dei protocolli fisioterapici specifici.
Se tutte queste terapie conservative non riescono a mantenere sotto controllo il dolore è necessario però ricorrere all’intervento chirurgico. L’intervento più comune è la trapeziectomia e artroplastica di sospensione. Consiste nella rimozione di una delle due ossa coinvolte nell’articolazione interessata, il trapezio, e nella creazione di una nuova articolazione con una piccola parte di tendine prelevato dal polso. Si tratta di un’operazione della durata di circa un’ora ed eseguita in Day Hospital e con una anestesia che coinvolge solo il braccio, seguono poi tre settimane di immobilizzazione e un intenso protocollo riabilitativo”, conclude la dottoressa Frontero.
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