Quando si parla di tumori cerebrali se ne possono identificare di diversi tipologie. Ne abbiamo parlato il Prof. Federico Pessina, neurochirurgo e docente di Humanitas University, dando attenzione ad una tecnica chirurgica innovativa, ideata per asportare tumori localizzati al basicranio arrivando alla zona di intervento senza passare attraverso il tessuto cerebrale sano.
Diversi tipi di tumore
I meningiomi: si sviluppano dalle meningi, ovvero nei tessuti che circondano la parte esterna del cervello. Nella maggior parte dei casi vengono diagnosticati in modo accidentale, perché piccoli e asintomatici, mentre in altri casi la sintomatologia consiste in crisi epilettiche e, in casi molto rari se di grandi dimensioni, si manifestano in deficit neurologici focali o alterazioni comportamentali e cognitive; i gliomi: originano dalle cellule gliali (che hanno funzioni di supporto e nutrizione dei neuroni). Si manifestano tendenzialmente in età ‘giovane-adulto’ tra i 18 e i 50 anni, con crisi epilettiche. Possono essere a basso grado di malignità ma anche asintomatici o ad alto grado di malignità. Se si presentano nell’adulto o nell’anziano si manifestano con crisi epilettiche, con deficit neurologici – come difficoltà motorie e di coordinamento – o cognitivi (difficoltà di memoria, concentrazione). Un’altra tipologia di tumore al cervello sono i neurinomi: neoplasie benigne delle guaine nervose, spesso localizzati alla base del cranio, i più comuni interessano il nervo acustico e si manifestano con acufeni, perdita dell’udito e vertigine; infine gli angiomi cavernosi, si tratta di malformazioni venose (un agglomerato di vasi), correlate a sintomatologia epilettica o emorragica; spesso possono andare incontro a piccoli sanguinamenti asintomatici rilevabili solo con la risonanza magnetica.
Una tecnica innovativa e mini-invasiva
Meningiomi, gliomi, neurinomi, angiomi cavernosi, abbiamo visto i tanti e diversi tipi di tumori e masse che si sviluppano nelle aree cerebrali, zone altamente delicate dove il chirurgo si trova a dover operare facendo particolare attenzione a vasi, nervi e tessuto cerebrale che potrebbero subire danni.
“Può essere difficile l’accesso in sicurezza a tumori localizzati in regioni profonde a livello del basicranio medio e posteriore“, ha spigato il neurochirurgo. “In questa regione le patologie che si possono riscontrare sono fondamentalmente meningiomi, gliomi, neurinomi del trigemino e angiomi riscontrare del tronco cerebrale. Per raggiungere questa regione i neurochirurghi, seguendo la strada degli otorinolaringoiatri e la loro esperienza nella chirurgia della rocca petrosa, hanno iniziato a lavorare sulle regioni profonde dell’osso temporale, sviluppando la tecnica di petrosectomia anteriore secondo Kawase”.
L’obiettivo era arrivare alla massa da asportare cercando di evitare aree delicate del cervello. “Partendo dall’osso temporale si può avere un accesso a regioni profonde in relativa sicurezza, senza manipolazione del tessuto cerebrale sano, dei nervi cranici e dei vasi, come succede con un approccio tradizionale, arrivando direttamente sulla massa da asportare”, ha chiarito il dottor Pessina.
“Con la petrosectomia anteriore lavoriamo in un tessuto meno nobile, ricco anch’esso di strutture anatomiche importanti ma con punti di riferimento sulla loro posizione relativamente fissi, che si possono identificare, esporre e preservare. Passando dall’osso arriviamo ad aprire direttamente la dura madre che riveste il cervello proprio sopra il tumore, senza avere tessuto cerebrale sano interposto tra il bisturi del chirurgo e la lesione da asportare. Questa tecnica, inizialmente usata solo per meningiomi e neurinomi, è stata così applicata anche a tumori gliali e angiomi cavernosi localizzati in regione profonda a carico del tronco cerebrale. Si tratta di un approccio molto complesso, che presuppone una profonda conoscenza anatomica della base cranica e una confidenza da un punto di vista tecnico nell’accesso: si incontrano strutture importanti della motilità facciale, dell’udito e vascolari, da non danneggiare, ma che possono essere ben identificate e preservate cosicché la morbidità, cioè i possibili effetti collaterali dell’intervento, è estremamente inferiore rispetto all’approccio classico”.
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