“Panta rhei: verso la cura individualizzata”: questo il titolo dell’intervento del dottor Wolfgang Gatzemeier, Vice Direttore dell’Unità Operativa di Senologia di Humanitas, nel corso di Mamazone 2017, la settima edizione di “Paziente diplomata”, una giornata dedicata alle donne con e senza tumore al seno, organizzata da Humanitas lo scorso 14 ottobre.
La presenza del tumore al seno nelle donne è documentata fin dall’antichità, fin dagli Egizi, ma i veri progressi nella cura sono stati compiuti negli ultimi 150 anni passando da una visione più descrittiva del tumore a una visione più approfondita su base molecolare e biologica.
I carcinomi del seno sono le neoplasie più frequenti nelle donne, si pensi che nel 1980 si ammalava una donna su 15, oggi invece una donna su 8: c’è dunque un reale aumento dell’incidenza, ma grazie alla diagnosi precoce e al trattamento multidisciplinare abbiamo anche un livello di cure più elevato. È importante sottolineare come si debba parlare di tumori del seno perché ogni donna è diversa, anche da un punto di vista biologico, così come lo è ogni tumore sia dal punto di vista istologico sia da quello del profilo genetico e dunque del contenuto molecolare.
I progressi nell’approccio di cura e la conservazione del seno e dei linfonodi
Alla fine del 1800 si riteneva che il tumore della mammella fosse una malattia locale-regionale e che pertanto l’estensione e la tecnica dell’intervento chirurgico fossero i fattori determinanti per ottenere i risultati migliori; la tendenza dunque era alla mastectomia radicale.
Furono i fratelli Fisher, chirurgo e patologo statunitensi, all’inizio del Novecento a dimostrare che i tumori del seno possono essere fin dall’inizio sistemici e che dunque il trattamento locale non cambia la sopravvivenza della paziente. La combinazione di una terapia di controllo adeguata (che non preveda grandi mutilazioni) con una terapia sistemica si rivela la strada da percorrere.
Anche il professor Umberto Veronesi, insieme ai fratelli Fischer, è considerato un pioniere nella conservazione della mammella. I progressi che sono stati compiuti nella conservazione del seno hanno inoltre garantito alle donne una sempre maggiore qualità di vita.
Il passo successivo fu la conservazione dei linfonodi ascellari grazie alla tecnica del linfonodo sentinella. Fu così possibile capire in quali casi era necessario rimuovere i linfonodi e in quali casi potevano essere risparmiati, evitando anche il linfedema, uno dei principali effetti collaterali di questa asportazione.
Le terapie adiuvanti sistemiche
Già nel 1800 si è iniziata a osservare un’ormono-sensibilità nei tumori, poi nel 1968 Elwood Jensen individua sulle cellule il recettore per gli estrogeni, la base per la cura ormonale che abbiamo oggi. Un altro grande passo, è stata la scoperta di un recettore per la crescita che ha permesso di trattare le donne che presentavano una certa espressione del recettore.
Fu poi Gianni Bonadonna ad avviare il primo studio sulla chemioterapia adiuvante nel carcinoma mammario dopo la chirurgia (negli anni 70 del 900 all’Istituto dei tumori di Milano).
Un approccio multidisciplinare che vede al centro la donna
Dieci anni fa avevamo classificato da un punto di vista istologico 3-4 tumori, tra dieci anni invece avremo molti sottotipi di tumori e speriamo anche nella possibilità di nuovi farmaci sempre più adeguati a ciascun sottotipo.
In ogni caso, la cura dei tumori della mammella è multidisciplinare. L’approccio vede al centro la donna e intorno a lei tutte le figure che cercano di massimizzare i risultati della terapia: chirurgo, oncologo, radioterapista, patologo, genetista, ginecologo per la preservazione della fertilità, fisioterapista, medico nucleare, radiologo, chirurgo plastico, ma anche breast care nurse, psicologo e servizi sociali.
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