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Sorveglianza attiva nel tumore alla vescica: un nuovo studio ne conferma la validità

“Active Surveillance for Low Risk Nonmuscle Invasive Bladder Cancer: A Confirmatory and Resource Consumption Study from the BIAS Project”: questo il titolo dello studio recentemente pubblicato su The Journal of Urology, il cui primo autore è il dottor Rodolfo Hurle, urologo di Humanitas.

Come ci spiega lo stesso dottor Hurle “questo studio prospettico osservazionale è un’ulteriore conferma della validità della sorveglianza attiva nei pazienti con tumore alla vescica”.

La sorveglianza attiva è un’alternativa alla chirurgia endoscopica in pazienti con tumori recidivi della vescica di basso grado. Si basa su controlli regolari e frequenti e non prevede un intervento chirurgico se la patologia non progredisce o resta asintomatica. I risultati legati a questo approccio, ideato proprio dal dottor Hurle, sono stati pubblicati per la prima volta nel 2016 sul British Journal of Urology International. Humanitas è il Centro di riferimento italiano e attualmente l’unico ad adottare la sorveglianza attiva nel carcinoma vescicale.

Dopo la pubblicazione del lavoro sulla rivista ufficiale dell’Associazione degli Urologi americani, The Journal of Urology, Medpage Today, prestigioso quotidiano on line indipendente, che si occupa di informazione medica, ha ospitato un’intervista agli specialisti di Humanitas in merito ai risultati del loro lavoro. Un’ulteriore testimonianza di quanto il tema sia importante per la comunità medica e dei pazienti perché la sorveglianza attiva può davvero rappresentare una soluzione per evitare, a pazienti selezionati con tumori recidivi della vescica di basso grado, interventi chirurgici frequenti, contribuendo a tenere sotto controllo la malattia, senza aumentare il rischio di progressione.

Fattori predittivi di fallimento e costi ospedalieri

“Abbiamo in primo luogo indagato i fattori predittivi di fallimento della sorveglianza attiva per tumore della vescica non muscolo-invasiva, dove per fallimento intendiamo la necessità di sottoporre il paziente a intervento. Abbiamo dunque determinato il numero e la percentuale di pazienti che sono rimasti all’interno del protocollo di sorveglianza attiva e che non hanno necessitato di intervento chirurgico.

In parallelo a questo lavoro, abbiamo condotto un’analisi dell’impiego delle risorse ospedaliere nei pazienti sottoposti a sorveglianza attiva. In sinergia con l’ufficio della gestione operativa di Humanitas infatti, abbiamo effettuato uno studio di risparmio, valutando per esempio i giorni di ospedalizzazione dei pazienti, il tempo in ore del personale impegnato in sala operatoria, il consumo in termini di diagnostica, farmaci e materiali, nel tentativo di calcolare l’importo e il valore delle risorse ospedaliere coinvolte e valutare il risparmio ottenuto con la sorveglianza attiva per ciascun paziente.

Dai risultati è emerso come la sorveglianza attiva possa essere una strategia clinica efficace in pazienti selezionati, perché consente di tenere sotto controllo il tumore, evitando di sottoporre il paziente a interventi non risolutivi o pericolosi, come nel caso dei soggetti anziani spesso colpiti da questa neoplasia, il cui quadro è reso ulteriormente delicato dalla presenza di comorbidità e nei quali l’intervento chirurgico e l’anestesia a esso correlata non sono sempre raccomandabili. Limitare il ricorso a interventi chirurgici non necessari inoltre, si traduce anche in un risparmio economico per le strutture ospedaliere”, ha spiegato il dottor Hurle.

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