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Il ruolo del sistema dei neuroni a specchio nella riabilitazione motoria

Si è svolta a fine settembre a Milano MeetmeTonight, un’iniziativa che vuole avvicinare il grande pubblico alla ricerca all’innovazione, grazie a diversi incontri con gli esperti di settore.

“Apprendimento, cura e pratica sportiva: a che punto è la ricerca?”, questo il tema al centro dell’intervento del professor Roberto Gatti, Responsabile del Servizio di Fisioterapia in Humanitas, nell’ambito di un più ampio discorso sui neuroni a specchio.

“Nel 1992 un gruppo di ricercatori guidati dal professor Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma, descrisse per la prima volta i neuroni a specchio, che ora sappiamo essere collocati nella zona fronto-parietale dell’encefalo. Questi neuroni si attivano non solo quando si esegue un movimento, ma anche quando il movimento viene visto perché condotto da altri. I neuroni a specchio poi codificano non solo per il movimento in termini di esecuzione cinematica, ma anche per il significato del movimento stesso”, ci spiega il professor Gatti.

Lo sviluppo dell’Action Observation Training

“La scoperta che i neuroni a specchio sono coinvolti nell’apprendimento motorio ha portato allo sviluppo di un approccio riabilitativo, chiamato Action Observation Training, proposto per la prima volta nel 2007 dal professor Giovanni Buccino.

Questo approccio, sfruttando le caratteristiche dei neuroni a specchio, propone al paziente di osservare con attenzione un video che mostra l’esecuzione di un movimento, precisandogli – prima della visione – che poi dovrà imitare e replicare a sua volta quel movimento. Diversi studi hanno confermato (prevalentemente mediante l’osservazione in risonanza magnetica funzionale) che questo innesca un’attivazione dei neuroni a specchio che sembrerebbe favorire la predisposizione del cervello all’esecuzione del gesto richiesto.

Questo approccio è stato studiato soprattutto per la riabilitazione dei pazienti con esiti di ictus, anche se un numero crescente di lavori si sta indirizzando ai pazienti che soffrono di Parkinson”, ha sottolineato il prof. Gatti.

Le caratteristiche del gesto

“Dai dati sappiamo che il gesto proposto nel video e che il paziente dovrà poi eseguire deve essere transitivo, finalizzato a un compito (come prendere un piccolo oggetto e spostarlo); se poi la gestualità proposta appartiene all’esperienza motoria del paziente, ancora meglio.

Un altro aspetto su cui si è molto riflettuto è se fosse meglio un video in prima persona, in cui il paziente vede, per esempio, solo il braccio che compie il movimento, ripreso come se quel braccio fosse il suo, o in terza persona, in cui si vede frontalmente un soggetto compiere il dato movimento”, precisa lo specialista.

Motor imagery e Action Observation Training

“Il video in prima persona richiama la dimensione dell’immaginazione, è come se il paziente immaginasse di essere lui a compiere quel movimento. Questo aspetto ha fatto sì che venisse coinvolto il “motor imagery”, un processo mentale già noto per cui il soggetto immagina di compiere un gesto senza farlo davvero, e dunque ci si è chiesti se l’Action Observation Training non fosse sovrapponibile al motor imagery. In realtà, i due processi non sono la stessa cosa, ma condividono parte di uno stesso substrato ovvero il sistema dei neuroni a specchio”, spiega il professor Gatti.

La ricerca in Italia

“L’Action Observation Training è al centro di numerosi lavori, finora sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali più di 30 studi sulla sua efficacia e nella quasi totalità indicano gli effetti positivi di questo approccio riabilitativo. Il nostro gruppo è uno dei pochi che se ne occupano in Italia e ne stiamo esplorando le applicazioni in ambiti e con modalità di somministrazione differenti da quanto è stato proposto finora”, ha concluso il professor Gatti.

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