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Pacemaker cerebrali per curare la Malattia di Parkinson

Parkinson, distonia e disturbi del movimento sono tra le patologie più invalidanti. In Italia soffrono di Parkinson circa duecentomila persone. Come spiega il prof. Alberto Albanese, Responsabile di Neurologia in Humanitas: “Questa patologia predilige tendenzialmente alcuni neuroni, quindi colpisce in maniera elettiva alcune parti del cervello, sulle quali cerchiamo di intervenire primariamente. Viene meno il neurotrasmettitore dopamina, implicato in varie caratteristiche tutte collegate alla motilità”.

 

Quali trattamenti sono possibili?

Oggi una delle possibili soluzioni è l’impianto di pacemaker cerebrali: “Il pacemaker opera come un’antenna che va a disturbare il nucleo subtalamico, che a causa della mancanza di dopamina, funziona troppo”, spiega Albanese.

Prima di sottoporre il paziente a un intervento chirurgico per l’impianto di elettrodi all’interno di nuclei profondi del cervello, occorre un fondamentale passaggio di diagnostica clinica. Spiega il dottor Piero Picozzi, Responsabile di sezione Gamma Knife in Humanitas: “Utilizzando il casco stereotassico, una particolare apparecchiatura che funge da riferimento esterno sulla testa del paziente, riusciamo a identificare il nucleo subtalamico, dove vogliamo mettere il catetere”.

 

Come avviene l’intervento?

In sala operatoria si gioca un lavoro di équipe tra neurochirurghi, neurologi e neurofisiologi che troveranno il punto giusto in cui impiantare l’elettrodo. L’intervento si esegue in anestesia locale, per consentire agli specialisti di controllare le reazioni del paziente. Gli elettrodi impiantati verranno collegati a un pacemaker sottocutaneo che genera gli impulsi elettrici.

“Si tratta di una terapia complementare rispetto ai farmaci: in genere la neurostimolazione va a corrispondere a circa il 60% del carico farmacologico, quindi il paziente riduce la farmacoterapia”, spiega il prof. Albanese.

Non tutti possono però sottoporsi all’intervento: è infatti “una terapia elettiva, il 30% circa dei pazienti può essere candidabile a questa procedura”, conclude il professor Albanese.

 

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