I pazienti che ricevono una diagnosi di tumore del polmone sono spesso profondamente scossi e “feriti” da questa notizia e talvolta hanno problemi di tipo psicologico anche in altre fasi del percorso di cura. La dottoressa Stefania Spina, psicologa specializzata in problematiche oncologiche, sta portando avanti lo studio DICHO, un interessante progetto di collaborazione fra la Fondazione Veronesi ed Humanitas, che mira a migliorare la qualità della vita dei pazienti durante il trattamento per il tumore del polmone, attraverso un percorso individuale di interventi rapidi e mirati.
Cosa prevede il percorso psicologico?
“Si tratta di aiutare il paziente in alcuni momenti molto precisi del percorso terapeutico, che sono stati individuati da alcuni orientamenti internazionali in ambito medico (come, per esempio, l’Obama precision medicine initiative) come “punti critici” per determinare la qualità della vita di chi ha una diagnosi simile. In questi momenti, infatti, intervengono alcune problematiche legate all’ansia in merito ai risultati del trattamento, all’autostima di chi deve spesso affrontare un difficile percorso riabilitativo ed alle dinamiche relazionali, che sono spesso influenzate dalla malattia”, spiega la dottoressa Spina.
“La cosa interessante è che non si tratta di un approccio di tipo educativo, ma di un intervento che deve servire a motivare e aiutare il paziente nel trovare dentro di sé le risorse da utilizzare in situazioni particolari come i primi momenti dopo l’intervento chirurgico, il reinserimento nella vita domestica o, per l’appunto, il momento della diagnosi, forse il più difficile. Infatti i pazienti sono spesso spaventati e, talvolta, non reagiscono e non riescono a superare questi “scogli” e a guardare avanti. Si tratta di un approccio già sperimentato per le vittime di traumi e, in campo oncologico, per alcuni pazienti che sono stati trattati per tumori della mammella e del colon retto.
È la prima volta, però, che si utilizza per i pazienti con tumore polmonare, che sono sottoposti a livelli di stress molto alti, anche per una certa stigma che questo tipo di tumore porta con sé e che ha a che fare con l’essere ‘il tumore dei fumatori'”, prosegue la dottoressa, che conclude: “Il paziente deve reagire e, in qualche maniera, elaborare e integrare la malattia nella propria vita. Certamente questa situazione non è ideale, ma può in qualche caso avere persino aspetti positivi, perché per chi riesce a reagire può portare a riconsiderare i propri valori e le proprie capacità anche in senso positivo ed a creare nuovi obiettivi e nuove aspettative, spesso più sentite e più coerenti con la situazione attuale e le proprie tendenze”.
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