La Paralisi Cerebrale Spastica Infantile (PCI) è una malattia che ancora oggi colpisce un bambino ogni 500 nati. Infatti, proprio per una maggior sopravvivenza dei nati prematuri o dei bambini con gravi malformazioni, negli ultimi 10 anni il numero di nuovi casi di Paralisi Cerebrale Infantile è rimasto invariato. Sfortunatamente, per questa patologia non è possibile parlare di prevenzione, data la poca prevedibilità di molte delle cause che la provocano. Solo un approccio multidisciplinare alla malattia e la definizione di strategie terapeutiche mirate possono aiutare a migliorare la qualità di vita di questi bambini. La parola al prof. Nicola Portinaro, specialista in ortopedia pediatrica e neuro-ortopedia di Humanitas.
Cos’è la paralisi cerebrale spastica infantile?
“E’ una malattia dovuta ad un danno irreversibile ma non progressivo del sistema nervoso centrale che ha cause differenti, come un’emorragia o un’ischemia. Clinicamente si manifesta con gravi difficoltà motorie, non sempre associate a problemi intellettivi, che invece progrediscono e peggiorano durante tutta la vita e specialmente durante il periodo di crescita del bambino.
Quando si manifesta?
“Questa malattia puo colpire il bambino durante tre momenti specifici: nel corso della gravidanza, specialmente negli ultimi periodi, al momento del parto e dopo la nascita fino circa i 2 anni di età. Negli ultimi anni l’incidenza di casi di paralisi cerebrale non è variata. Ciò è dovuto ad un miglioramento delle tecniche di rianimazione di bambini gravemente malati o molto prematuri che rappresentano il 50 per cento dei bambini colpiti da paralisi cerebrale infantile ”.
Come si riconosce?
“Questi bambini hanno generalmente un ritardo neuromotorio presente fino dai primi mesi di vita che si concretizza clinicamente con difficoltà nel compiere movimenti anche elementari. Generalmente è colpito tutto il corpo ma con intensità differente nei diversi distretti del sistema muscoloscheletrico. A seconda del grado e del tipo del disturbo motorio si può, nella maggior parte dei casi, prevedere a grandi linee lo sviluppo motorio futuro del bambino malato: ciò permette di poter stabilire alcuni principi terapeutici che questi bambini dovranno poi seguire per tutta la vita”.
Come si diagnostica?
“Specialmente alla nascita la diagnosi di PCI presenta non poche difficoltà. Infatti, se la caratteristica tipica del bambino con paralisi cerebrale è avere un aumento variabile del tono dei muscoli a riposo e quindi essere, in termini poco scientifici, particolarmente rigido, al contrario, alla nascita, questi bambini si presentano spesso con una muscolatura ipotonica, quasi flaccida. La diagnosi si basa fondamentalmente sulla storia clinica del paziente, che va chiesta ai genitori o si evince dalla cartella clinica del ricovero, durante il parto o nelle fasi successive. Si tratta di una diagnosi clinica, in quanto il bambino non raggiunge le tappe neuromotorie tipiche di tutti i bambini, come tenere su la testa da solo, cominciare a sedersi, a gattonare, manipolare oggetti.
Non basta, però, diagnosticare la paralisi cerebrale spastica, è necessario diagnosticare il tipo di paralisi, come descritto dal prof. A. Ferrari, responsabile del centro di terzo livello per le disabilità infantili, presso l’ospedale regionale di Reggio Emilia. Questa classificazione ha un significato diagnostico, prognostico e terapeutico, necessario perché permette di pianificare l’iter di un paziente per un periodo lungo, prevedendo a grandi linee le necessità cliniche e chirurgiche di questi bambini. L’anamnesi, che rappresenta il passo principale, cioè la raccolta della storia clinica, dev’essere seguita dall’esame clinico del paziente, passo fondamentale per stabilire la necessità di ulteriori accertamenti diagnostici come gli studi radiografici dei diversi distretti anatomici più a rischio in questa malattia, come le anche, il bacino e la colonna. Si possono, inoltre, associare esami più specifici come la tac per lo studio dei profili torsionali degli arti inferiori o superiori, la Gait analysis, ovvero lo studio computerizzato delle anomalie del cammino dei piccoli pazienti”.
Come si cura?
“Le possibilità di trattamento in generale sono rappresentate dalla azione sincronizzata e coordinata dei differenti specialisti che magari in tempi diversi della vita del bambino, intervengono nel trattamento di questi pazienti. Il problema dell’intervento singolo di uno specialista è, e deve essere, solo confinato alla necessità contingente, ma deve sempre e comunque rientrare in un disegno terapeutico generale a lungo termine pianificato fino dall’inizio. Altrimenti diviene un evento sporadico e spesso non concordato e con gli altri medici specialisti che si occupano di questa patologia e quindi spesso poco utile per il paziente. Per questo motivo è importantissimo un approccio multidisciplinare”.
Sinergia degli specialisti
“Questa malattia rappresenta un notevole impegno sociale anche per la mamma e per i parenti, oltre che per il piccolo paziente e richiede quindi anche un forte impegno dello staff medico. Per questo motivo si parla a volte di Hospital Birthday Syndrome, dato che la malattia obbliga il bambino a sottoporsi a frequenti interventi chirurgici nell’arco della sua vita. Inoltre, è importante capire che la gestione non deve gravare solo sui genitori, che spesso si affidano al caso, rivolgendosi a medici solo per sentito dire o a vari “guru” del momento. Ciò non permette al bambino di essere seguito nelmigliore dei modi, ma al contrario crea confusione per la dispersione e non univocità dei pareri. Per questo motivo è necessario un unico centro di riferimento, dove vi sia un approccio multidisciplinare alla malattia. Inoltre solo il lavoro di tutti gli specialisti insieme permette una raccolta dei risultati, un loro studio ed un miglioramento continuo che portino così ad un miglioramento terapeutico, una clinical excellence di cui l’unico beneficiario alla fine dev’essere il bambino”.
“Il vero leit motif della vita di questi bambini – conclude il prof. Portinaro – credo debba essere considerato il riabilitatore in genere ( il fisiatra, il fisioterapista e il neuro psichiatra ) dato che le soluzioni chirurgiche rappresentano solo una parte marginale e temporanea del problema. Infatti è il fisiatra, o il neuropsichiatra, lo specialista maggiormente e più costantemente coinvolto nel trattamento di questi bambini. Il fisioterapista diviene addirittura parte integrante nella vita di questi piccoli per via della sua quotidianità con questi pazienti. Ha un ruolo fondamentale in ogni minimo cambiamento della capacità motoria, dell’atteggiamento e della volontà nel cercare di risolvere i deficit dei bambini. Sfortunatamente per quello che mi riguarda il ruolo del chirurgo ricopre una parte breve, anche se molto intensa dal punto di vista fisico ed emotivo, nella vita di questi bambini. Tuttavia la scelta del momento e del tipo di intervento non riguarda semplicemente l’atto, ma dev’essere premeditata e stabilita tenendo presenti i diversi aspetti e le diverse necessità del singolo paziente. La semplice scelta chirurgica di un intervento piuttosto che un altro sarebbe limitativa, poiché le componenti di riuscita dell’intervento non sono legate solo all’atto chirurgico ”.
A cura di Lucia Giaculli
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