Artrite reumatoide, morbo di Chron e rettocolite ulcerosa, lupus eritematoso, sclerosi multipla, cirrosi biliare primitiva: sono solo alcune delle cosiddette malattie autoimmuni (o immunodegenerative), che oggi rappresentano un grave problema sociale. Nel mondo occidentale, infatti, sono la terza categoria di patologie più comune dopo il cancro e le malattie cardiolavascolari. Negli USA, si stima che ne sia affetto il 5-8% della popolazione (cioè 14-22 milioni di persone). E il 78-80% delle persone che ne soffrono sono donne: ad esempio il lupus eritematoso sistemico colpisce il sesso femminile con la frequenza di circa 9 volte superiore a quanto si osserva nel sesso maschile. E dati simili valgono anche per l’artrite reumatoide. Altra caratteristica peculiare è la giovane età dei soggetti colpiti. Per questo le malattie autoimmuni costituiscono il paradigma della “medicina di genere”, di una medicina, cioè, che si fa carico delle differenze e dei problemi legati al sesso: la gestione come paziente di una donna giovane, in età fertile, pone infatti problemi del tutto particolari, ad esempio l’importanza di garantirle la possibilità di avere figli, e di controllare gli effetti della gravidanza e della post-gravidanza sulla malattia stessa.
Ma che cosa sono esattamente le malattie autoimmuni? Spiega il prof. Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente dell’Università degli Studi di Milano: “Sono patologie causate dal sistema immunitario che, ad un tratto, aggredisce il proprio organismo anziché difenderlo: non riconosce alcune cellule o componenti dei tessuti, le attacca e le distrugge. Il perché di questa auto-lesione è ancora oggi, purtroppo, sconosciuto. Tuttavia, i grandi passi in avanti fatti sul fronte della comprensione dei meccanismi con cui avviene questa aggressione, hanno portato importanti progressi nella diagnosi e nella terapia delle malattie autoimmuni.
La scoperta che le cellule del sistema immunitario comunicano attraverso ‘parole’ chiamate citochine e molecole adesive ha permesso di sviluppare terapie innovative ed efficaci. Per fare un esempio concreto, la messa a punto di farmaci che bloccano una citochina scatenante l’infiammazione (inibitori di TNF) ha portato ottimi risultati innanzitutto nella cura dell’artrite reumatoide. La stessa strategia terapeutica, poi, utilizzata nelle malattie infiammatorie intestinali come il morbo di Crohn e nell’artrite psoriasica, ha aperto la strada allo sviluppo degli inibitori di IL-1 (ne esiste già uno approvato in clinica), di IL-6, molecole molto promettenti che bloccano il traffico dei globuli bianchi, e delle chemochine, attualmente in sperimentazione clinica. Quest’anno, per la prima volta, un inibitore delle chemochine è stato approvato dall’FDA e dall’EMEA per l’uso clinico in pazienti con HIV. Pensiamo che questo possa essere l’inizio di un’epoca”.
Innochem: l’Europa contro le chemochine
Proprio con l’obiettivo di sviluppare nuovi farmaci basati sugli inibitori delle chemochine, dal novembre del 2005 è attivo Innochem, un importante progetto di ricerca sostenuto dalla Commissione Europea.
Vere e proprie “parole” dell’infiammazione, le chemochine hanno l’importante compito di richiamare, nel luogo nel momento e nella quantità giusta, i globuli bianchi che difendono il nostro organismo dall’aggressione di agenti esterni. Ma che, in quantità eccessiva o quando non sono necessari, diventano dannosi. “Proprio queste molecole – prosegue il professor Mantovani, che è coordinatore del progetto – sono il ‘bersaglio’ dei nuovi farmaci che i ricercatori di Innochem intendono mettere a punto. Background diversi e complementari concorrono al raggiungimento di questo scopo: Innochem è infatti un consorzio composto da 15 gruppi scientifici accademici che rappresentano i più importanti Paesi Europei (Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Polonia, Svizzera, Spagna), oltre ad Israele, e da 6 gruppi industriali attivi nell’ambito farmaceutico e biotecnologico.
Le due anime di Innochem sono la ricerca di base e la sperimentazione clinica, che vengono effettuate contemporaneamente. Da una parte infatti il progetto porta avanti studi clinici già in atto sviluppati dai membri del consorzio, dall’altra promuove la ricerca di base per identificare nuovi modi per fermare le chemochine”.
Le ricadute della ricerca sulla clinica
La comprensione dei meccanismi dell’auto-aggressione del sistema immunitario ha portato importanti progressi nella diagnosi e nella terapia delle malattie autoimmuni, con la messa a punto di farmaci che bloccano l’infiammazione:
– anticorpi contro TNF: artrite reumatoide, morbo di Crohn, artrite psoriasica
– inibitori di IL-1: artrite giovanile
– inibitori di IL-6: artrite (in sperimentazione)
– inibitore delle chemochine: HIV/aids.
Di Monica Florianello
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