Di tumori e di ricerca si parla spesso soprattutto in occasione delle giornate nazionali o internazionali organizzate dalle associazioni del settore. E in queste occasioni si ricordano i progressi fatti nel campo dei tumori negli ultimi decenni, che hanno portato a possibilità di guarigione inimmaginabili fino a poco tempo fa. Grazie alla diagnosi precoce, alla chemioterapia e alle tecniche chirurgiche, oggi, ad esempio, le donne operate al seno che a 5 anni dall’intervento stanno bene sono più del 70%. Ma si può fare ancora di più, proprio grazie alla ricerca, che non a caso è in pieno “fermento”.
Nuove cure e nuove speranze
“Non ci sono ancora dati certi e quindi non è il caso di esagerare con l’entusiasmo – dice il prof. Armando Santoro, responsabile dell’Unità Operativa di Oncologia ed Ematologia di Humanitas – ma esistono almeno due strade ampiamente battute dalla ricerca, che nel giro di qualche anno potrebbero portare a nuove cure e a nuove speranze per i tumori”.
Prima di tutto la tecnica del microarray, che grazie alla biologia molecolare consente di studiare le alterazioni genetiche presenti in una determinata forma di tumore.
Con questa metodica, in pratica, è possibile verificare quali mutazioni sono presenti nelle cellule tumorali, permettendo agli esperti di classificare il tumore secondo regole precise e di verificarne così le possibilità di cura.
Mutazioni genetiche forniscono indicazioni importanti per la scelta della cura giusta
“Nell’ambito di una stessa forma tumorale, come ad esempio quella del seno o del colon-retto – spiega il professor Santoro – esistono alcuni “sottogruppi” caratterizzati da specifiche mutazioni genetiche. A seconda della mutazione, un tumore è più o meno aggressivo e quindi è più o meno curabile”. Identificando la forma di tumore in questione, perciò, è possibile individuare le cure migliori con cui ottenere i massimi benefici.
Per il momento le ricerche si stanno muovendo soprattutto nell’ambito dei tumori del seno, del colon e del polmone, per cui si stanno mettendo a punto protocolli di riferimento che permettono di scegliere la cura giusta in base alle mutazioni individuate. Conoscendo l’alterazione specifica che è alla base del tumore, inoltre, è teoricamente possibile somministrare farmaci studiati ad hoc. Ad esempio, se risulta alterato un determinato gene che funziona eccessivamente, favorendo la proliferazione delle cellule tumorali, in un prossimo futuro si potrebbe somministrare un farmaco che inibisce questo gene arrestando la crescita tumorale.
In cosa consiste la tecnica del microarry
Dal punto di vista pratico, con la tecnica del microarray per il paziente non cambia nulla. Per eseguire il test genetico, infatti, vengono utilizzate le cellule ottenute con la biopsia e quindi già prelevate al malato. “Il ricorso a questa tecnica – precisa il professor Santoro – è però ancora in fase sperimentale. La metodica, cioè, non è ancora disponibile per i malati perché la sua efficacia non è ancora stata del tutto dimostrata. Ci vorranno ancora un paio d’anni per capire se è davvero utile e poi almeno altri 2-3 anni per applicarla nella pratica quotidiana.”
E strettamente legato al “microarray” è il settore delle molecole biologiche, farmaci studiati su misura per una determinata forma di tumore e per questo capaci di combatterlo con estrema efficacia. “Grazie alle conoscenze oggi disponibili – dice il professor Santoro – sappiamo quali sono i meccanismi di crescita tumorale, che sono diversi a seconda della forma di tumore. E’ quindi in teoria possibile sviluppare farmaci ad hoc che blocchino il fattore di sviluppo specifico per ogni forma di tumore”.
Il caso Glivec
Nel caso del Glivec, ad esempio, i risultati sono già una realtà. Questo farmaco, che si prende per bocca, e che agisce sulla leucemia mieloide cronica, bloccando un’alterazione tipica delle cellule del sangue malate e impedendone lo sviluppo, è già in vendita da qualche mese. Con risultati superiori a quelli della “vecchia” chemioterapia.
Nuove molecole, nuove sperimentazioni
Non mancano, poi, le molecole in fase di ricerca. L’Iressa, che si prende sempre per bocca, e che blocca l’EGF, un fattore di crescita presente in diverse forme di tumore. Il farmaco è in fase di sperimentazione per il tumore al polmone, al colon, al pancreas e al seno. E poi il Cetuximab, una molecola in sperimentazione, da assumere sempre per via orale, che sembrerebbe capace di bloccare in modo specifico la crescita tumorale in caso di tumore del colon, della testa e del collo.
Il tempo per avere a disposizione nuovi farmaci biologici? “Più o meno lo stesso necessario per il microarray – risponde il professor Santoro – un paio d’anni per ottenere evidenze scientifiche sulla loro efficacia e poi altri 2-3 anni almeno per la messa in commercio.”
A cura di Silvia Rosselli
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