Ambrogini d’oro 2003, appuntamento con la Milano del fare e con il professor Leandro Gennari. Tra imprenditori, uomini di cultura e normali cittadini, benemeriti meneghini con un denominatore comune, migliorare la città con il lavoro e l’impegno, quest’anno c’era il prof. Leandro Gennari, responsabile del dipartimento di Chirurgia Generale di Humanitas e da domenica 7 dicembre Ambrogino d’oro: il massimo riconoscimento civico per la laboriosità, conferito ogni anno il giorno di Sant’Ambrogio, patrono della città.
Responsabile del dipartimento di Chirurgia Generale di Humanitas dal 1997, praticamente da quando esiste l’ospedale, cinquanta anni dedicati a lottare contro i tumori che lei definisce “l’antico male”. Ma, in fondo, chi è Leandro Gennari?
“Sono un medico come tanti altri, niente di più, che solo per una serie di fortunate coincidenze e per la volontà di fare qualcosa di concreto nella vita è riuscito in alcuni dei suoi obiettivi. Non da solo, però. Da solo non sarei arrivato da nessuna parte. Senza collaboratori disposti a seguire le mie idee e senza l’Istituto dei Tumori prima e Humanitas ora che mi permettessero di metterle in pratica, avrei potuto realizzare ben poco”.
Leandro Gennari si laurea in Medicina nel ’57 a Pavia. Lo stesso anno entra nell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano dove lavora per 40 anni. All’Istituto conosce Umberto Veronesi che gli insegna il mestiere e gli fa da “fratello maggiore oltre che da Mentore”. Così, Leandro Gennari diventa per la riconoscenza dei suoi pazienti il “bisturi d’oro” della chirurgia oncologica non solo italiana. Nel 1975 è Direttore della Divisione di Chirurgia Oncologica dell’Istituto dei Tumori, nel 1987 il Ministero lo autorizza ad eseguire il trapianto di fegato. E’ presidente della Società Italiana di Chirurgia Oncologica, è tra i fondatori del Hepato-Biliary Pancreatic Surgical Association e della European Society of Surgical Oncology. È membro del Comitato Scientifico per l’oncologia nell’International Gastro Surgical Club e di numerose altre società mediche italiane e straniere. Molti suoi studi, inoltre, sono stati pubblicati su riviste internazionali di medicina.
Quali sono le tappe fondamentali della sua carriera?
“Nel mio caso coincide con la domanda, perché ho scelto di occuparmi di patologie tumorali e chirurgia? Avevo vent’anni e stavo muovendo i primi passi in Facoltà quando un caro amico, Tanino, mi chiede informazioni su una malattia, il linfogranuloma maligno. Allora si moriva per questo tipo di tumore, così gli spiego che è una malattia per la quale non ci sono cure efficaci. Gli chiedo perché gli interessasse e se qualcuno dei suoi cari avesse questa malattia. Mi risponde che si trattava di lui. Tanino ha affrontato la malattia con coraggio e vedendo tanta tenacia e tanta voglia di vivere, in me è nato quel qualcosa che mi ha spinto verso l’oncologia.
Per combinazione, appena laureato, vengo presentato al professor Pietro Bucalossi, allora direttore generale dell’Istituto dei Tumori di Milano. Una persona per me inarrivabile. Invece, già al primo incontro, mi prende sotto braccio e mi chiede che cosa volessi fare. Oncologia, rispondo io. Va bene, dice, venga da domani. E così a 25 anni ho iniziato a lavorare a titolo gratuito all’Istituto. Due anni dopo, si è aperta la possibilità di un concorso interno per ricoprire quattro posti. Ero il più giovane così mi hanno fatto estrarre il bussolotto con il titolo del tema ed è uscito il linfogranuloma maligno. Ho vinto il concorso. Da quel momento la mia vita è cambiata e mi si è spalancato davanti il mondo”.
Chi è stato il suo maestro?
“Umberto Veronesi durante tutti gli anni all’Istituto dei Tumori di Milano è stato per me un fratello maggiore e un maestro. Quando è diventato primario di Chirurgia ha voluto che fossi suo aiuto. Con lui ho preso la docenza in Patologia Chirurgica e le mie tre specialità in ortopedia, oncologia e chirurgia generale. Poi, nel ’67, è diventato direttore generale dell’Istituto, mentre io da assistente sono passato a primario di Chirurgia. Ma il prof. Veronesi è stato mio maestro anche in un senso più autentico del termine. Da lui ho imparato come comportarmi con i pazienti e dai suoi consigli sono dipese molte delle mie scelte di vita e professionali”.
Che cosa vuol dire per lei fare il medico e il chirurgo?
“Per fare il medico e il chirurgo occorrono doti particolari. Per il Medico con la “M” maiuscola sono fondamentali sensibilità, cultura, amore verso il prossimo e un po’ di psicologia perché l’ammalato è una persona in difficoltà che lotta per tenersi stretta la cosa più importante che ha: la vita stessa. Per fare invece il chirurgo oltre alle qualità del medico serve una dote che non dipende dal lavoro o dall’impegno che si mette: il tocco istintivo come del pittore. Una manualità, un dono naturale e non voluto insito nel proprio Dna”.
Un confronto fra vecchia e nuova chirurgia oncologica: qual è la situazione all’inizio del Terzo Millennio?
“La chirurgia è una delle indispensabili e insostituibili branche dell’oncologia. In passato si trattava semplicemente di una chirurgia d’organo. L’indicazione era quindi di asportare l’intero organo malato. La nuova chirurgia ha invece cercato di razionalizzare le scelte cercando di andare incontro alle esigenze del paziente. Tre esempi: la chirurgia conservativa della mammella, il progressivo abbandono della completa eliminazione dell’ano e del retto con conseguente creazione di un nuovo ano sull’addome e, soprattutto, il trapianto di organo. Oggi il chirurgo oncologo deve prima di tutto imparare dagli errori del passato, accettare e applicare i nuovi orientamenti diagnostici e terapeutici e soprattutto prestare attenzione alla ricerca biomolecolare. L’oncologia ha infatti imboccato in questi anni una strada certa, quella della biologia molecolare e dell’angiogenesi. Questa via consentirà di fare un piccolo passo nel lunghissimo percorso che va dalle conoscenze di oggi a quelle di domani. Infatti, ogni tumore ha una sua aggressività biologica, come è dimostrato dal fatto che alcuni tumori piccoli possono diffondersi rapidamente, mentre altri, anche di grosse dimensioni, possono guarire. Conoscere l’aggressività del tumore ci consente di razionalizzare la terapia. Non esistono quindi ammalati, né trattamenti standard, ma occorre capire caso per caso l’aggressività del tumore. Questa è la prospettiva della chirurgia oncologica dei prossimi 20 anni”.
Che consiglio vuole dare a quanti si affacciano ora nel mondo della medicina?
“Il mio consiglio va bene per chiunque ed è di non rinunciare mai ad utilizzare sino in fondo la propria intelligenza, dal momento che il Signore ce l’ha data. Senza però mai dimenticare che il paziente chiede al medico non solo una risposta razionale alla sua malattia, ma anche una empatica: il riconoscimento della sua dignità di uomo, la comprensione della sua sofferenza e parole e gesti in grado di infondere speranza e serenità”.
a cura di Marco Renato Menga
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