Sono lo strumento attraverso cui premiare il merito, per esempio quando si finanzia la ricerca o si scelgono nuovi docenti nelle università. Ecco come funzionano.
Come si fa a valutare il valore di uno scienziato? Semplice: uno scienziato ha tanto più valore quanto più le sue ricerche sono utili (e perciò influenzano) alla comunità scientifica. Come misurare questa influenza, tuttavia, è un rompicapo con cui da anni Università, Enti di Ricerca e singoli ricercatori di tutto il mondo si scervellano.
Ora, uno studio americano pubblicato sull’European Journal of Clinical Investigation propone un nuovo metodo di misurazione dell’impatto scientifico dei ricercatori e stila una classifica dei 400 scienziati più influenti nell’ambito biomedico.
Benché possa sembrare un semplice esercizio, tanta attenzione alle classifiche ha in realtà una grande importanza: da esse possono dipendere infatti i finanziamenti alla ricerca, il reclutamento di nuovi docenti nelle università, nonché della selezione degli studenti più qualificati. Soltanto se esse sono affidabili è dunque possibile premiare il merito e non disperdere risorse.
Come sono stati individuati i 400 ricercatori top
Per giungere all’elaborazione della classifica i ricercatori hanno messo a punto un metodo molto sofisticato: sono partiti dal database Scopus, che contiene i dati identificativi di oltre 15 milioni di autori di articoli scientifici. A quel punto è stata calcolata la loro prolificità (il numero di articoli pubblicati dal 1996 al 2011) e la loro utilità al progresso della ricerca (il numero di volte in cui i loro articoli sono stati citati da altri ricercatori). Questi dati sono stati impiegati per calcolare un indice sintetico che, attraverso operazioni statistiche, ha alla fine consentito di elaborare la classifica dei top 400. Certo, il metodo non è perfetto, per esempio non tiene conto delle pubblicazioni precedenti al 1996, né dell’effettivo contributo dei ricercatori ai lavori in cui compare il loro nome. Però fornisce una stima affidabile della loro influenza.
Quanto alla classifica, sono pochi i ricercatori italiani in lista. E ancora di meno gli italiani che lavorano nel nostro paese (soltanto sei). Al primo posto il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente dell’Università degli Studi di Milano, seguito dal professor Antonio Colombo, dell’Università Vita-Salute San Raffaele, il professor Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, il professor Giuseppe Mancia, dell’Università di Milano Bicocca, il professor Vincenzo Di Marzo, del CNR di Pozzuoli, e il professor Alberto Zanchetti, dell’Università degli Studi di Milano.
«È interessante notare che cinque di questi sei scienziati lavorano in strutture di Milano e Bergamo a conferma dell’alto livello di ricerca che si conduce da queste parti» commenta il professor Alberto Mantovani.
Dalla classifica emergono altri nomi di italiani, che però lavorano all’estero, come Carlo Croce all’Università dell’Ohio e Napoleone Ferrara alla Genentech Incorporated. Mancano del tutto, invece, scienziati stranieri di alto livello che lavorano in Italia. «È una realtà che purtroppo conosciamo bene: siamo bravi a esportare scienziati di qualità ma non riusciamo ad attirare quelli stranieri», conclude il professor Mantovani.
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