Che cos’è il linfoma di Hodgkin?
Il linfoma è una malattia del sistema linfatico, cioè dell’insieme di tessuti che hanno la funzione di difendere l’organismo dagli agenti esterni e dalle malattie. Questo sistema comprende i linfonodi, la milza, il timo, il midollo osseo e altre piccole aree dell’organismo.
Il linfoma di Hodgkin può colpire tutte queste parti del corpo e poi diffondersi ad altri organi. Nel linfoma di Hodgkin, le cellule del sistema linfatico (chiamate linfociti B) crescono in modo anormale e possono accumularsi sia nel sistema linfatico stesso che in altri organi. Con il progredire della malattia, viene compromessa la capacità dell’organismo di combattere le infezioni.
Quali sono i fattori di rischio per il linfoma di Hodgkin?
La causa precisa di questo tipo di linfoma non è ancora conosciuta, ma i principali fattori di rischio sono:
- età: le fasce più a rischio sono principalmente tra i 20 e i 30 anni e tra i 50 e i 60 anni
- storia familiare: fattori ambientali piuttosto che genetici sembrano essere chiamati in causa
- sesso: sembra che gli uomini presentino un rischio di ammalarsi leggermente maggiore
- virus di Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi infettiva
- condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o in caso di infezione da HIV)
- fattori geografici: il linfoma Hodgkin è maggiormente diffuso nel Nord Europa, negli Stati Uniti e in Canada e meno presente nei Paesi asiatici
- livello socio-economico: questo linfoma è più comune fra le persone che hanno un tenore di vita elevato.
Esiste un modo di prevenire il linfoma di Hodgkin?
Trattandosi di una malattia rara, non è purtroppo noto alcun modo di prevenire l’insorgenza del linfoma di Hodgkin, se non evitando l’esposizione ai fattori di rischio comuni a tutti i tipi di cancro.
Diagnosi
Il linfoma di Hodgkin può essere difficile da diagnosticare poiché è caratterizzato da sintomi simili a quelli di altre malattie molto frequenti, ad esempio l’influenza. Le persone affette da linfoma di Hodgkin sono spesso asintomatiche. Talvolta è una radiografia del torace eseguita per altri motivi a rivelare un’anomalia che porta alla diagnosi di linfoma di Hodgkin.
Il linfoma di Hodgkin ha tuttavia alcune caratteristiche cliniche peculiari, tra cui la diffusione “ordinata” a stazioni linfonodali limitrofe, cioè, come si dice comunemente, è un linfoma che “non salta le stazioni linfonodali”. Ad esempio è tipico il coinvolgimento dei linfonodi sovra diaframmatici del collo, delle ascelle e del torace, ma molto raramente si verifica coinvolgimento linfonodale al collo e all’addome “saltando” il torace.
Un paziente con linfoma di Hodgkin può riferire febbre, sudorazione notturna, spossatezza, perdita di peso, dolore o gonfiore addominale, prurito persistente e dolore toracico, tosse o difficoltà respiratoria, a seconda della sede di insorgenza della malattia.
In caso di sospetto linfoma di Hodgkin, tramite biopsia vengono prelevati un linfonodo intero oppure un campione di tessuto da un linfonodo patologico. L’anatomopatologo esamina il tessuto per verificare la presenza di modifiche nella struttura del linfonodo normale e per identificare l’eventuale presenza delle cellule caratteristiche del linfoma di Hodgkin, chiamate cellule di Reed-Sternberg.
In caso di linfoma di Hodgkin il linfonodo malato contiene solo una piccola quantità di cellule neoplastiche, e una maggior quantità di infiltrato infiammatorio e di fibrosi circostante. Il paziente viene inoltre sottoposto a esami del sangue e a biopsia osteomidollare, oltre che a radiografie e a PET, TAC o RMN allo scopo di sondare la diffusione del tumore.
Al termine di queste indagini al linfoma viene attribuito lo stadio: da I a IV in base al numero di sedi infiltrate e alla presenza di localizzazioni in organi non linfonodali, associato al suffisso A o B in base alla presenza o meno di segni sistemici (febbre, sudorazione, calo ponderale). In base allo stadio viene stabilito l’approccio terapeutico.
Trattamenti
Le opzioni terapeutiche per il linfoma di Hodgkin dipendono principalmente dallo stadio della malattia al momento della diagnosi. Altrettanto importanti sono il numero e le stazioni di linfonodi intaccati e il coinvolgimento di uno o di entrambi i lati del diaframma. Altri fattori comprendono l’età del paziente, i sintomi e lo stato di salute generale. La maggior parte delle persone trattate per linfoma di Hodgkin vanno incontro ad una remissione completa della malattia. I protocolli di ricerca clinica possono rappresentare un’opzione nei casi in cui le terapie standard si dimostrano inefficaci.
Malattia in stadio iniziale (I-II)
Il paziente con linfoma di Hodgkin circoscritto a una o più aree dallo stesso lato del diaframma, viene sottoposto a una chemioterapia di breve durata (da 2 a 4 cicli) e successivamente a radioterapia con irradiazione dei linfonodi colpiti dalla malattia all’esordio. La radioterapia può in casi molto selezionati essere utilizzata da sola nei casi in cui il paziente presenti delle controindicazioni assolute alla chemioterapia. La radioterapia può aumentare il rischio di altre forme di tumori, ad esempio del seno o del polmone. Per le adolescenti e le donne sotto i 30 anni di età, questo rischio è considerato troppo elevato: anche per questo motivo oggi la radioterapia viene somministrata a basse dosi.
Malattia in stadio avanzato (III-IV)
Il paziente con malattia estesa ad altri distretti linfonodali o ad altri organi è trattato con la chemioterapia, utilizzata anche in caso di recidiva dopo la radioterapia. Dopo la chemioterapia, generalmente 6 cicli, il paziente che all’esordio aveva localizzazioni di malattia di grosse dimensioni (>10 cm) riceve su quelle sedi un ciclo di radioterapia. Negli ultimi anni si è visto che il risultato della PET dopo i primi due cicli di trattamento è particolarmente importante nel predire la prognosi del paziente e l’eventuale rischio di recidiva.
Recidiva
In caso di linfoma di Hodgkin recidivante dopo la chemioterapia iniziale, viene proposta al paziente l’opzione della chemioterapia in dosi elevate con trapianto di cellule staminali. Poiché dosi elevate di chemioterapia distruggono il midollo osseo, prima si procede al prelievo e al congelamento di cellule staminali emopoietiche dal sangue periferico del paziente stesso. Una volta completata la chemioterapia, le cellule vengono reinfuse al paziente. In caso di fallimento anche di questa procedura, viene preso in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali, da fratello/sorella compatibile oppure da donatore volontario.
Protocolli di ricerca clinica
La terapia standard di prima linea o di salvataggio è inefficace nel 15% circa dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin. Per questi pazienti esiste l’opzione di partecipare a un protocollo di ricerca clinica che prevede l’utilizzo controllato di nuove terapie non ancora approvate ufficialmente.
I protocolli di ricerca clinica hanno lo scopo di determinare la sicurezza e l’efficacia di una terapia: possono non rappresentare una cura, ma prolungare la vita o migliorarne la qualità. Tali protocolli possono prevedere l’utilizzo di nuove molecole di diversa origine, come chemioterapici o terapie biologiche, la cui azione è mirata al meccanismo di proliferazione cellulare tipico di un preciso tipo di neoplasia (farmaci “intelligenti”). Per avere maggiori informazioni e capire quali protocolli possono essere adatti al proprio caso, è opportuno che il paziente si rivolga al proprio emato-oncologo di fiducia.