Il nostro cuore è un muscolo instancabile e non smette mai di lavorare: grazie ai suoi battiti il sangue viene pompato in tutto il corpo trasportando l’ossigeno e i nutrienti di cui abbiamo bisogno al cervello e a tutti gli altri organi. Avere un cuore in salute è fondamentale per una buona qualità della vita e per questo dobbiamo prendercene cura, prestando attenzione al nostro stile di vita e imparando a cogliere quei campanelli d’allarme che potrebbero indicare l’esigenza di un consulto medico.
Tra le patologie che possono colpire il cuore, in particolare, figurano le cardiomiopatie, che interessano il muscolo cardiaco (miocardio) con conseguenze importanti sulla circolazione del sangue in tutto l’organismo. Le cardiomiopatie possono essere di vario tipo, le più rilevanti sono quella dilatativa, ipertrofica, aritmogena, o restrittiva e sono un disturbo severo che, se non trattato in tempo, può provocare l’insorgenza di mancanza di fiato, scompenso e aritmie potenzialmente fatali. Si tratta di patologie che possono interessare pazienti di qualsiasi genere ed età, anche bambini e adolescenti, più frequentemente tra i 20 e 40 anni.
Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Cristina Panico, cardiologa in Humanitas.
Cardiomiopatia dilatativa: quali sono i sintomi?
La cardiomiopatia più comune è quella dilatativa, che interessa il ventricolo sinistro che, come dice il nome, si dilata provocando una compromissione della funzione di pompa del sangue che definiamo insufficienza cardiaca sistolica / con bassa frazione di eiezione. La principale complicanza che provoca è lo scompenso cardiaco, una condizione molto grave che può condurre alla morte.
Tra le diverse cause della cardiomiopatia dilatativa ci sono pregresse infezioni del miocardio, l’utilizzo di farmaci chemioterapici e l’abuso di alcolici.
Nel circa 40% dei casi la causa è una mutazione del DNA che coinvolge geni deputati alla normale funzione cardiaca; si tratta di forme che possono essere familiari, presenti quindi in più individui della stessa famiglia.
In altri casi, invece, le cause possono non sono ancora chiare e si definisce idiopatica.
La sua sintomatologia, invece, è analoga a quella dello scompenso cardiaco e comprende debolezze, fatica generalizzata, respiro affannoso, tosse secca, gonfiore ad addome e gambe, sensazione di capogiro e svenimenti. La comparsa di aritmie può causare palpitazioni e svenimenti.
Cardiomiopatia ipertrofica: quali sono le cause?
Nella cardiomiopatia ipertrofica assistiamo sempre a una compromissione delle funzionalità cardiache, dovuta però a un ispessimento del miocardio che compromette l’elasticità del ventricolo sinistro e la quantità di sangue che il cuore riesce ad accogliere e a pompare. A volte l’ispessimento del cuore provoca una vera e propia ostruzione al flusso di sangue (forma ostruttiva), compromettendo ulteriormente la funzione del cuore.
È una condizione più rara rispetto alla forma dilatativa e che dipende principalmente da cause genetiche, insorge quindi in individui predisposti dalla nascita.
La cardiomiopatia ipertrofica è spesso asintomatica, soprattutto nelle fasi inziali.
Le manifestazioni cliniche più comuni sono quelle legate allo scompenso cardiaco (dolore al petto, mancanza di fiato, edemi) o alla presenza di aritmie (palpitazioni, svenimenti, morte improvvisa) che più frequentemente si manifestano durante esercizi fisici.
Cardiomiopatia aritmogena: una condizione rara
La cardiomiopatia artimogena coinvolge principalmente la parte destra del cuore e aumenta il rischio di aritmie cardiache. La malattia è geneticamente determinata nel 40% dei casi e i pazienti sono spesso asintomatici o paucisintomatici per anni. I primi sintomi compaiono solitamente tra i 30 e i 50 anni e sono dovuti ad aritmie che possono causare anche la morte improvvisa, specialmente nel giovane e nell’atleta. Negli stadi avanzati della malattia, la progressione della disfunzione del cuore può portare allo scompenso cardiaco.
Cardiomiopatia restrittiva: una condizione spesso legata a malattie sistemiche
La cardiomiopatia restrittiva comporta un irrigidimento e una perdita di elasticità delle pareti ventricolari: anche in questo caso il cuore non riesce ad accogliere né a pompare una quantità di sangue adeguata al benessere dell’organismo. Inoltre, nelle fasi più avanzate della patologia, risulta alterata anche la funzione sistolica, ossia la capacità del cuore di contrarsi. In alcuni casi si tratta di forme idiopatiche, che coinvolgono soltanto il cuore. Più frequentemente è legata a malattie multisistemiche come l’amiloidosi e la malattia di Fabry, malattie rare che interferiscono sulle funzionalità degli organi.
L’insorgenza dei sintomi della cardiomiopatia restrittiva può essere graduale o improvvisa. Questi sono analoghi a quelli delle altre cardiomiopatie e comprendono difficoltà respiratoria, sensazione di fiato corto, in particolar modo durante gli sforzi fisici, cardiopalmo, gonfiore a gambe e addome. Possono essere presenti altri sintomi legati al coinvolgimento multisistemico come disturbi gastro-intestinali e neurologici.
Cardiomiopatie: quali esami fare per la diagnosi?
La cardiomiopatia viene abitualmente diagnosticata in Pronto Soccorso o quando il paziente, accusando una sintomatologia particolare, richiede una visita cardiologica, magari su indicazione del proprio medico di medicina generale (ma sono anche frequenti indagini su pazienti magari asintomatici ma che hanno familiarità con problemi cardiologici). Gli esami per diagnosticare la cardiomiopatia sono generalmente poco invasivi e comprendono esami del sangue, elettrocardiogramma ed ecocardiogramma. In caso lo specialista lo ritenga opportuno potrebbe essere necessario a esami di secondo livello come la risonanza magnetica cardiaca ed il test cardiopolmonare, fondamentali per avere informazioni più dettagliate sulla patologia. Nel sospetto di una malattia genetica potrà essere indicato il test genetico.
Come si curano le cardiomiopatie?
Per quanto riguarda il trattamento delle cardiomiopatie, la strada può essere, in base alle caratteristiche della patologia, farmacologica e/o prevedere l’impianto di device. In generale, per la cardiomiopatia dilatativa si prescrivono farmaci inibitori dell’asse renina-angiotensina, beta-bloccanti, antagonisti del recettore dell’angiotensina ed i nuovi farmaci SGLT2 inibitori. Per la cardiomiopatia ipertrofica e aritmogena i farmaci utilizzati sono sempre i beta-bloccanti, ma anche gli antiaritmici e i calcio-antagonisti.
Nell’ambito della cardiomiopatia restrittiva, invece, è fondamentale ricercare la presenza di forme secondarie a malattie multisistemiche per impostare la terapia specifica.
In alcuni casi, quando la patologia è più severa o il rischio di aritmie più elevato, si ricorre all’impianto di pacemaker o defibrillatori. Quando la malattia è in fase avanzata e continua a progredire si deve agire chirurgicamente con l’impianto di un dispositivo di assistenza ventricolare e, in casi estremi, trapianto di cuore.
L’importanza del test genetico
Come abbiamo detto, alla base di alcune forme di cardiomiopatia vi sono alterazioni genetiche ereditarie, potenzialmente trasmissibili all’interno delle famiglie. In questo contesto il test genetico risulta di fondamentale aiuto per confermare un sospetto clinico e per identificare soggetti a rischio aumentato all’interno del nucleo familiare. Questo permette di programmare specifici percorsi di prevenzione, che comprendano controlli periodici al fine di effettuare una rapida diagnosi ed eventuali terapie precoci e di conoscenza dell’eventuale rischio di trasmissione della variante identificata ai propri figli.
Vista la complessità delle cardiomiopatie diventa fondamentale la presa in carico in un centro specializzato dove possono essere eseguiti gli esami di secondo livello (cardio risonanza, test cardiopolmonare, test genetico) e la presenza di diversi specialisti (cardiologo dello scompenso, elettrofisiologo, genetista, internista) permette la corretta valutazione e cura dei pazienti.
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