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Tumore all’ovaio: nuove prospettive di cura grazie alla genomica molecolare

Il DNA delle cellule tumorali è instabile: questa caratteristica è identificabile con un metodo di genomica “a bassa profondità”, che guarda i cromosomi “dall’alto”, senza scendere nel dettaglio della singola mutazione.

Con questo metodo, un gruppo di ricercatori di Humanitas, guidato dal professor Maurizio D’Incalci, a capo del laboratorio di Farmacologia antitumorale di Humanitas e docente di Humanitas University, e dal dottor Sergio Marchini, responsabile del Laboratorio di Farmacologia Molecolare e dell’Unità Genomica di Humanitas, ha scoperto che il genoma dei tumori ovarici è caratterizzato da tre diversi tipi di alterazioni strutturali che definiscono una diversa prognosi, ossia una diversa sopravvivenza delle pazienti con carcinoma ovarico al primo stadio.

Questa scoperta potrebbe migliorare la diagnosi e forse la terapia di questo tumore. Considerato ancora oggi uno dei tumori più difficili da curare tra le neoplasie ginecologiche, il cancro dell’ovaio colpisce circa 5.200 donne ogni anno solo in Italia, con 3000 decessi solo nel 2020. Spesso la diagnosi è tardiva perché la malattia non causa sintomi specifici nelle fasi iniziali.

Tumore all’ovaio e instabilità cromosomica

“I risultati ottenuti nello studio hanno evidenziato una caratteristica biologica importante del tumore all’ovaio: l’instabilità cromosomica” spiega il professor D’Incalci. 

“Non tutti i casi sono però uguali. Ci sono casi con cromosomi altamente instabili, casi con cromosomi moderatamente instabili e casi con cromosomi stabili. Questi ultimi hanno una prognosi più favorevole e hanno una bassa probabilità di dare recidive”.

La ricerca si è focalizzata principalmente sui casi di tumore ovarico al primo stadio, ma questi tre tipi di alterazioni cromosomiche sono state riscontrate anche in casi in stadio avanzato, quello che colpisce la maggior parte delle pazienti. È verosimile che queste alterazioni strutturali siano una caratteristica comune a tutti gli stadi. Se ciò sarà confermato, in futuro la diversa instabilità cromosomica potrebbe essere utilizzata come nuova modalità di classificazione molecolare dei tumori ovarici.

I risultati, pubblicati sull’European Journal of Cancer, sono emersi nell’ambito di uno studio sostenuto da Fondazione Alessandra Bono Onlus e da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. La ricerca è stata condotta su 205 pazienti con carcinoma dell’ovaio al primo stadio grazie alla collaborazione con diversi centri clinici e di ricerca italiani, tra cui l’Ospedale San Gerardo di Monza, l’Ospedale Sant’Anna e Università di Torino, il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, il Dipartimento di Scienze della Salute, Genetica Medica, dell’Università degli Studi di Milano, la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e il Cancer Research UK Cambridge Research Institute, Università di Cambridge.

Perché migliorare la conoscenza della malattia al primo stadio?

A causa della mancanza di sintomi specifici nelle fasi iniziali della malattia, è particolarmente difficile studiare il tumore ovarico al primo stadio. Questo lo rende una patologia relativamente rara (il 20% dei casi riscontrati). Lo studio di caratterizzazione molecolare condotto dai ricercatori di Humanitas è il più esteso che sia mai stato pubblicato nella letteratura medica specializzata sul primo stadio ed è stato possibile attraverso la collaborazione di molti centri.

“Studiare un tumore al primo stadio è importante per cogliere le alterazioni iniziali che sono essenziali per lo sviluppo della malattia” spiega il dottor Marchini. 

“Queste conoscenze possono fornirci elementi per sviluppare nuovi metodi diagnostici e applicazioni terapeutiche. La caratterizzazione molecolare delle prime fasi della crescita di un tumore può, infatti, mettere in evidenza se ci sono dei bersagli che possiamo colpire per ottenere uno specifico effetto antitumorale”.

Le implicazioni cliniche della scoperta

La conoscenza dell’instabilità cromosomica di ciascun caso, unita ai dati istopatologici e clinici, può migliorare la definizione del rischio di recidiva e quindi contribuire a una più precisa scelta terapeutica per ciascuna paziente. Se il rischio di recidiva è molto basso si può ritenere che la paziente sia probabilmente guarita con la sola terapia chirurgica e quindi non necessiti di chemioterapie aggiuntive, con un sicuro miglioramento della qualità della vita. Se il rischio è viceversa alto bisogna intensificare le terapie.

Sviluppi futuri

Oltre a mettere a disposizione della comunità scientifica oncologica i metodi sviluppati per la caratterizzazione molecolare, il team di Humanitas sta applicando le conoscenze ottenute per sviluppare un sistema che consenta di monitorare il plasma (biopsia liquida) delle pazienti con carcinoma ovarico. Lo scopo ultimo è se nel plasma, con tale sistema, si possano individuare le stesse alterazioni molecolari riscontrate nel tumore, al fine di definire il rischio di recidiva.

“A partire dalle conoscenze generate in questo lavoro stiamo lavorando alla messa a punto di un metodo nuovo per la diagnosi precoce del cancro ovarico. La sfida è molto grande, ma i dati preliminari che abbiamo ottenuto sono estremamente promettenti”, conclude il professor D’Incalci.

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