Il dottor Enrico Lugli, responsabile del Laboratorio di Immunologia Traslazionale dell’Irccs Istituto Clinico Humanitas, e la professoressa Ana Lleo De Nalda, epatologa, responsabile del laboratorio di Immunopatologia Epatobiliare e direttrice della Scuola di Specializzazione in Medicina Interna di Humanitas University, hanno identificato i meccanismi immunitari correlati a un esito peggiore per i pazienti con colangiocarcinoma intraepatico. I ricercatori hanno tracciato così la strada per una terapia mirata ed efficace. Lo studio, sostenuto da un grant AIRC presso Fondazione Humanitas per la Ricerca, è stato possibile grazie alla collaborazione dell’Unità di Chirurgia Epatobiliare dell’Irccs Humanitas, diretta dal professor Guido Torzilli.
Il colangiocarcinoma intraepatico è un tumore raro perché la diagnosi è spesso tardiva (nel 20-25% circa dei casi) e le terapie hanno dimostrato di non funzionare in tutti i pazienti diagnosticati con lo stesso tipo di cancro. Nei casi in cui la diagnosi sia precoce e i pazienti possano essere candidati a una chirurgia radicale di resezione epatica, la prognosi a 5 anni è migliore, ma solo per il 17% dei maschi e il 15% delle femmine. Humanitas è un centro di riferimento per il trattamento medico e chirurgico del colangiocarcinoma.
I meccanismi immunitari e la scoperta di un nuovo marcatore
“Prima di questo studio non si sapeva quali tipi di cellule immunitarie si trovassero all’interno della massa tumorale (infiltrato immunitario) dei pazienti, né quali meccanismi regolassero la risposta immunitaria nel colangiocarcinoma intraepatico e se questi potessero essere modificati da terapia oncologica medica” spiega il dottor Lugli.
“Con il nostro studio, usando tecnologie per analizzare ogni singola cellula all’interno del tumore, siamo riusciti a caratterizzare l’infiltrato tumorale in campioni di fegato di 25 pazienti sottoposti a intervento di resezione epatica, confrontandoli con tessuti di controllo prelevati da porzioni sane del fegato. Abbiamo visto che la risposta immunitaria è inibita. In particolare, alcune cellule del sistema immunitario, tra cui le cellule CD4-T-regolatorie, in genere coinvolte nella prevenzione di una risposta infiammatoria eccessiva, vengono reclutate dal tumore e bloccano così la risposta immunitaria. Inoltre il microambiente tumorale rende queste cellule iperattive: stimolate continuamente a rispondere all’infiammazione, le CD4+ generano uno “stato di tolleranza” che il tumore sfrutta in modo da inibire la risposta antitumorale del sistema immunitario”.
I ricercatori hanno inoltre scoperto che questa iperattività è regolata da una proteina, MEOX1, un fattore di trascrizione associato a una prognosi peggiore e a una mortalità più alta nei pazienti in cui tale proteina è espressa ad alti livelli. MEOX1 è particolarmente importante perché regola l’espressione di decine di geni coinvolti nel mantenimento dell’identità cellulare nei tumori.
Sviluppi futuri
“Con questo studio siamo riusciti a descrivere, ma anche a dimostrare, un meccanismo immunitario associato alla sopravvivenza dei pazienti. Un dato importante per stabilire il tipo di immunoterapia che può bloccare efficacemente lo sviluppo delle cellule tumorali nei pazienti” conclude la dottoressa Lleo De Nalda.
Visto il ruolo delle cellule T nella soppressione della risposta immunitaria nel colangiocarcinoma intraepatico, l’ipotesi formulata dai ricercatori è che sarà possibile proporre terapie combinate dove non si utilizza solo immunoterapia o solo chemioterapia, ma anche una deplezione (inibizione) delle cellule CD4 T regolatorie. Dati promettenti sull’efficacia dell’immunoterapia associata alla chemioterapia sono stati confermati in uno studio internazionale randomizzato di fase III.
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